Diritto penale

Caso “Mia Moglie”: aspetti legali

Sul gruppo Facebook “Mia Moglie” sono state condivise centinaia di fotografie di donne in biancheria intima. A fotografarle i mariti a laro insaputa nella casa coniugale.

Della questione si è occupato anche il Financial Times con un’intervista all’Avvocato Marisa Marraffino.

Ci sono diversi reati che possono configurarsi, ma bisogna distinguere le varie condotte.

Chi ha fatto le riprese o scattato le fotografie nelle proprie abitazioni all’insaputa della moglie potrebbe essere indagato per il reato di interferenze illecite nella vita privata e diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (c.d. revenge porn) in concorso tra di loro.

Infatti, il primo reato, punito con la reclusione da 6 mesi a quattro anni, si ha quando chiunque si procura indebitamente, registrando o filmando, notizie o immagini attinenti alla vita privata.

Nel 2018 la Corte di cassazione  si è occupata proprio del caso di un marito che  aveva ripreso la moglie in biancheria intima, a sua insaputa, all’interno dell’abitazione.

Il reato si applica anche a chi non avendo registrato direttamente le immagini, dopo averle ricevute, le condivide con altri.

Questo reato è stato applicato diverse volte anche nei casi di telecamere installate a insaputa del coniuge per riprendere eventuali tradimenti. In alcuni casi è stato applicato anche ai GPS installati nell’automobile  a insaputa del partner che veniva in questo modo pedinato. Per una parte della giurisprudenza, infatti, anche l’automobile è parificata alla privata dimora. Così come l’ambulatorio di un ospedale, in caso di riprese non autorizzate.

C’è poi il reato di revenge porn, punito nella sua forma aggravata se commesso dal coniuge, come in questo caso. La giurisprudenza si è già espressa più volte precisando che anche fotografie in biancheria intima diffuse senza il consenso della persona ritratta possono integrare questo reato. A commetterlo è non soltanto chi effettua le fotografie o le riperse ma anche chi, dopo averle ricevute le condivide senza il consenso del soggetto interessato. In questo caso la pena base arriva fino a sei anni di reclusione.

Ci sono poi possibili ipotesi di diffamazione aggravata per chi abbia commentato i video o le fotografie con contenuti sprezzanti e offensivi. La pena in questi casi va da sei mesi a tre anni.

L’Avvocato Marisa Marraffino si è già occupato di casi analoghi. Nel 2017 un uomo creò un catalogo di donne single della provincia di lecco con 1218 profili messi in vendita on line. La Cassazione nel 2023 confermò la condanna per trattamento illecito dei dati personali e diffamazione aggravata. E’ importante denunciare prima possibile per agevolare le indagini.

https://www.ft.com/content/60b6fcf6-1090-4c3d-9467-f962b6054774